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A Napoli uno spettacolo ci riconcilia con noi stessi e gli altri: ‘La Luna’ di Iodice

la luna davide iodice
Ph Cristina Ferraiuolo

La Luna, ideato e diretto da Davide Iodice per Teatri Associati di Napoli, è l’atto artistico con cui si è scelto di inaugurare la nuova stagione dal titolo Confini Aperti, diretta da Hilenia De Falco e Lello Serao, dopo l’anteprima effettuata per il Napoli Teatro Festival Italia. Si tratta della terza ideale tappa di una ricerca sulla crisi del contemporaneo, iniziata da Iodice con l’allestimento de ‘La Fabbrica dei Sogni‘ e proseguita con ‘Un giorno tutto questo sarà tuo‘.

La Luna di Davide Iodice: recensione

La Luna di Davide Iodice è uno spettacolo a cui è impossibile rimanere indifferenti. Quando si “scende” dalla Luna, ci si può sentire frastornati, ma si è grati per quel viaggio che si è appena compiuto. Sì perché almeno in quel tempo artistico sembra di aver recuperato il senno (richiamando l’Astolfo di ariostesca memoria). Coerentemente con ciò che ha compiuto fino ad ora, l’artista partenopeo costruisce una drammaturgia scendendo dal palco e (ac)cogliendo ciò che le persone hanno dentro di sé, portandole a raccontarsi. Attraverso le testimonianze dirette di tanti esseri umani, raccolte in circa due anni, si è lavorato quindi con una materia viva andando a fondo di ciò che rappresenta la parola “rifiuto”. La cornice di Palazzo Fondi a Napoli si presta perfettamente a un ideale isolamento dal resto che ci circonda per immergerci in una missione grazie al potere del teatro e di questo rito collettivo: ritrovare un senso perduto identitario e pubblico.

Durante il prologo, una donna ripete continuamente: “tutt’ teng nient’ veng’i”. Un controcanto maschile fa capolino (è il rapper Damiano CapaTosta Rossi, autore anche di questi versi), è nascosto nella posizione dei reietti della società o di chi cerca di rendersi trasparente. Su un tavolo (volutamente arrangiato) gli oggetti realmente raccolti, si passa dai birilli al pennello da barba, passando per la nostra bandiera. “Sta banner’ nun m’appartene. Tropp’ ipocrisì”, asserisce lui con fermezza e disincanto. Tocca a loro cominciare a farci da caronte, invitandoci a osservare coi nostri occhi gli oggetti che altri hanno lasciato a testimonianza (per liberarsene e/o per condividere).
“Ma vuje chi site?
Nuje? [ridono] Nuje simm chill scurdate, chille nfettate da vita.
Nuje cercammo tutto chello ca perdite
Nuje truvammo tutto chello ca ‘nvulite”

la luna davide iodice
Ph Cristina Ferraiuolo

Tra le note della fisarmonica e del canto e un lascito di reperti ad alcuni spettatori, si varca la soglia. Ci si dispone seduti sulle gradinate, ma lo si fa in religioso silenzio, curiosi di scoprire cosa prenderà forma da quel cumulo simbolico di rifiuti. Ci si trova di fronte a dei monoliti, ricoperti coi brandelli dei vari sacchi della spazzatura, ricordano le eco-balle campane. Su questo monolite si scorge una scimmia. Emette un verso, tira fuori oggetti da quel “contenitore di rifiuti” fino ad estrarre un registratore a cassette che aziona. Non è un caso perché con quell’elemento si vuole sottolineare al pubblico che sta cominciando il flusso di testimonianze.

La Luna è un viaggio nella consapevolezza del dolore e nel rifiuto di esso affidato al segno teatrale e al gesto significante di otto attori – performers. Sono Francesca Romana Bergamo, Alice Conti, Fabio Faliero, Biagio Musella, Annamaria Palomba, Damiano Rossi, Ilaria Scarano e Fabrizio Varriale, che agiscono nello spazio scenico ideato da Tiziano Fario, con i costumi di Daniela Salernitano, le luci ed il suono di Antonio Minichini” (dalla nota ufficiale). Ci sono esperienze performative fine a se stesse, ma non è questo il caso. Qui gli otto performers lasciano da parte l’accezione egocentrica del termine, per porsi completamente a servizio della rappresentazione di sentimenti profondi, spesso dolorosi, la cui parola resta giustamente affidata a chi ha vissuto quelle emozioni e ha scelto di farle emergere, conscio che sarebbero finite in un nastro registrato e nel cuore di chi vi assisteva.

Di grandissimo impatto è, in particolare, il modo con cui si sono esplicitati atti di violenza di genere. La voce della diretta interessata fa rabbrividire e in scena, quell’atto così disumano, viene incarnato con delicatezza, è come se l’arte riesca a prendersi cura sopperendo alla malvagità umana. Il tutto col sottofondo del rumore delle onde del mare. L’acqua dovrebbe lavare le ferite, ma si sa che  a volte è impossibile.

la luna davide iodice
Ph Cristina Ferraiuolo

Davanti ai nostri occhi scorrono i dolori e i ricordi di persone come noi ed è di minuto in minuto che l’empatia cresce, ma senza alcuna retorica. Ogni gesto compiuto, ogni silenzio è pesato nel rispetto di chi ha portato quel tassello di vita e nostro che partecipiamo. I nostri artisti, emersi come figure bianche dalle balle lunari, a un tratto si contendono e scambiano gli abiti, divenendo per qualche istante quell’identità (Iodice aveva realizzato nel 2014 ‘Mettersi nei panni degli altri | vestire gli ignudi’ con gli utenti del dormitorio pubblico di Napoli e del progetto Scarp de Tenis). “L’abito da sposa stava lì in quell’armadio chiuso, era un po’ …era quasi un cadavere là dentro, quindi andava gettato. Rappresentava… forse… rappresentava una parte di me che non… che non esiste, ma forse non è mai esistita. Non lo so…”. Ed è proprio tramite questo abito che si affronta la fine di un amore – e non solo – o ancora la consapevolezza di ciò che non è amore.

Quasi senza accorgercene, pur non indossandoli materialmente, ci ritroviamo a immedesimarci in quei panni ed è un processo che avviene anche se non si è subito del bullismo o avuto problemi col cibo o altre scottature trattate. Se in un preciso momento sembra di assistere alla danza della morte, subito dopo fa capolino la speranza, per poi riaddentrarsi nel buio dell’esperienza manicomiale. In un’altalena di emozioni si giunge catarticamente alla fine, provando il desiderio di non perdere più quel senno. La Luna ha la potenza dell’autenticità ed è per questo che bisogna accettare l’invito a questo viaggio. “Se di questo dolore passato facciamo arte, abbiamo capito il senso dell’arte, del teatro della vita. Fare senso del dolore”.

 

Riassumendo

La Luna, dal 24 al 29 settembre 2019

Palazzo Fondi, Napoli

ORARI: h 18 e h 21

NOTA BENE: per max 50 spettatori

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